VICENZA
Città d’arte con capolavori di inconfondibile bellezza, Vicenza è simbolo di rinnovamento nella continuità: il suo impianto urbano ha come cristallizzato la centurazione romana all’interno della città medievale, assumendo poi i tratti stilistici del rinascimento.
Corso Palladio e le piazze centrali
Piazzale De Gasperi Gli edifici del lato orientale della piazza, che segna il limite della città duecentesca, seguono il tracciato delle mura comunali, rafforzate dai Della Scala con il Castello (1338), a pianta quadrilatera e difeso da fossato. Del complesso resta oggi solo il torrione che domina la porta Castello, aperta nel 1343 sul sito di quelle comunale e romana.
Piazza Castello La sua pianta regolare è dovuta a varie trasformazioni, in particolare alla costruzione del palazzo Piovini (1656-58) che incorporò la facciata di palazzo Capra e definì l’ortogonalità con corso Palladio. Sul lato sud spicca l’incompiuto palazzo Porto, progetto palladiano realizzato nella sola ala ovest da Vincenzo Scamozzi dopo il 1580. Sul lato nord, con la facciata principale rivolta sul corso, è il palazzo Thiene, poi Bonin-Longare, che Vincenzo Scamozzi costruì nel 1580-86 su disegno altrui; c’è chi vede la mano del Palladio nel gioco di rimandi tra la facciata principale, a doppio ordine di semicolonne, e il doppio loggiato posteriore.
Corso Palladio L’asse principale, intorno al quale la città è andata organizzandosi nel corso dei secoli, ha mantenuto inalterato il proprio tracciato da quando fu decumano massimo della romana “Vicetia”. Superata, a destra, la facciata superstite di palazzo Capra (1467), attribuito al Palladio, il tracciato è movimentato da palazzo Loschi (1782), il cui arretrato prospetto si riallinea solo grazie al corpo centrale. Di fronte è la chiesa di San Filippo Neri (1730), con facciata neoclassica del 1824 e presbiterio rococò all’interno. Dalla stradella dei Filippini si raggiunge la chiesa di Santa Maria e San Cristoforo, originaria della seconda metà del ‘400, con portale sormontato da un baldacchino, ideato da Orazio Marinali per proteggere tre statue (ora sostituite da copie). Sulla facciata del quattrocentesco palazzo Thiene spicca una pentafora con balcone ad archi acuti. Dopo l’incrocio con corso Fogazzaro, è il palazzo Braschi-Brunello, eretto in forme gotico-veneziane intorno al 1480; sull’altro lato del corso, palazzo Pojana, costruito nel 1564-66 su disegno del Palladio, scavalca contrà Do Rode con un archivolto che unisce edifici più antichi. Capolavoro di Vincenzo Scamozzi è il palazzo Trissino-Baston, oggi sede del Municipio e dell’Accademia Olimpica, che segna l’angolo tra corso Palladio e contrà Cavour. Iniziato nel 1592 e terminato nel 1667, il palazzo, che si caratterizza per la presenza di elementi classici nel prospetto sul corso, si articola intorno al quadrato centrale. Questo “prosegue” in quattro atrii, dove ricompaiono colonne tuscanico-doriche a reggere la trabeazione. Nell’interno, lo scalone d’Onore, decorato da stucchi, conduce al secondo piano, dove è la sala della Giunta comunale, con fregio di Giulio Carpioni. Superato il quadrivo formato dall’intersezione tra corso Palladio e le contrade Porti e del Monte, s’incontra un gioiello dell’architettura tardogotica vicentina: palazzo Dal Toso-Franceschini-Da Schio, del 1477, dove l’arco del portale, culmine della decorazione, presenta motivi vegetali della bottega di Tommaso da Lugano e Bernardino da Como. Il palazzo Marcantonio Valmarana (1593), esempio di “stile severo” di marca scamozziana, conclude l’isolato e si dispone su due ingressi. Poco oltre, a sinistra, la casa Cogollo (1559-62), che la tradizione chiama impropriamente casa del Palladio, annuncia
Piazza dei Signori e la Basilica Palladiana
Piazza dei Signori Il centro monumentale della città costituisce un sistema assai complesso, articolato in tre piazze (dei Signori, delle Biade, delle Erbe) e nella piazzetta Palladio, tutte ruotanti attorno alla poderosa fabbrica della Basilica. La sua continuità nella storia ha comportato una ricca stratificazione: nata quasi certamente come sito del foro romano, la vasta area corrispose nel medioevo al “Peronio” (il termine compare negli Statuti del 1426), cuore politico e sociale della Vicenza duecentesca, nel quale trovavano spazio posto i principali edifici pubblici: il palazzo del Podestà, il “palatium Vetus” e il “palatium Communis”.
La Basilica E’ l’esito di momenti culturali diversi: nel 1450-60, sui basamenti dei palazzi “Vetus” e “Communis”, viene edificato il gotico “palatium Novum”, o palazzo della Ragione; nel 1481-94 vi si aggiungono le logge, crollate nel 1496. Nel 1546 i lavori sono affidati al Palladio, che incastona il vecchio palazzo in un involucro del tutto nuovo (un loggiato a due ordini, dorico e ionico, su tre lati, compiuto nel 1614), ma ispirato a un solenne classicismo. Centro della composizione è la serliana, elemento-finestra qui dilatato a dimensioni monumentali per correggere, con il ritmo lento di architravi laterali e archi centrali, l’irregolarità degli edifici gotici. I loggiati sono sormontati da una balaustra con 23 statue (in gran parte opera degli Albanese) e dalla cupola a carena di nave, in legno e lastre di piombo. Due scale, una della fine del XV secolo l’altra del 1612, conducono al piano superiore, dove si apre il vasto salone, illuminato da 24 finestre ogivali e coperto dall’altissima carena (ricostruita nel 1952).
Torre di Piazza Con i suoi 82 m di altezza, svetta all’angolo settentrionale della Basilica la torre civica, costruzione assai snella (la base, del XII secolo, misura solo 7 m di lato) rialzata in varie riprese tra il ‘300 e il ‘400. Sopra il finto portale, un’edicola cinquecentesca accoglie statue attribuite a G.B. Albanese. Addossati alla torre, i tre corpi di fabbrica del palazzo del Podestà affacciano sulle piazze dei Signori e delle Biade. Adiacente alla Basilica è il suo nucleo più antico (resti di case-torre del XII secolo), ricostruito nel 1293 in forme gotiche e trasformato nel ‘500, con una nuova facciata e una scala di collegamento alla Basilica. Ristrutturato nel 1611, venne saldato alla torre di Piazza e alla Basilica (1799).
Loggia del Capitaniato Le quattro gigantesche semicolonne testimoniano che la costruzione di fronte alla Basilica, detta anche loggia Bernarda, era nei progetti tanto grande da inglobare l’isolato. Per la sua parziale realizzazione, l’edificio, costruito nel 1571-72 dal Palladio per celebrare la battaglia di Lepanto e decorato da Lorenzo Rubini, risulta così “fuori scala” rispetto alla Basilica. Sul lato settentrionale della piazza, il Monte di Pietà si estende su due isolati. Il complesso, iniziato alla fine del XV secolo, si sviluppa si quattro livelli: botteghe, loggiato, piano nobile e ammezzato superiore. Il corpo centrale (1614) ha un doppio loggiato a tre arcate che cela la chiesa di San Vincenzo, del 1389, trasformata da Lorenzo Muttoni; nell’interno, al 1° altare sinistro, Deposizione di Orazio Marinali.
Piazza delle Biade Il passaggio dalla piazza dei Signori a quella delle Biade è segnalato dalle due colonne di Piazza: la colonna che regge il leone è del 1464, quella con la statua del Redentore del 1640. Sul lato orientale della piazza spicca la chiesa di Santa Maria in Foro, dei primi del ‘300 e terminata nel secolo successivo. Nella settecentesca facciata si apre l’elegante portale di Giovanni da Porlezza e Girolamo Pittoni (1531); il fregio esterno ad archetti risale alla prima fabbrica. L’interno gotico ha nei capitelli romano-gotici i segni del primo periodo della costruzione; al 1° altare destro, Madonna in trono tra i Ss. Sebastiano e Rocco di Benedetto Montagna.
Piazza delle Erbe Unica testimonianza delle architetture medievali che qui sorgevano è una torre, detta torre del Girone per un fossato che la circondava o del Tormento, perché dal XVII secolo fu adibita a prigione. La costruzione, passata al Comune intorno al 1236, venne collegata al “palatium Communis” da un arco (l’attuale è però un rifacimento del 1494). Quasi di fronte si trova palazzo Vigna, con una bella quadrifora, grazie al quale si può ricostruire idealmente l’aspetto tardogotico del “Peronio”.
Palazzo Chiericati e il Teatro Olimpico
Palazzo Chiericati Progettato dal Palladio nel 1550 e terminato intorno al 1670, presenta una facciata che ribalta il tradizionale rapporto tra pieni poteri e vuoti nel loggiato a due ordini, separato da un marcapiano molto accentuato, e nel corpo centrale appena avanzato. Dal 1855 il palazzo ospita il Museo civico, formatosi da un primo nucleo di dipinti dal palazzo del Governo, arricchito in seguito da importanti lasciti privati e oggi talmente ingrandito da richiedere il trasferimento di alcune collezioni nel complesso conventuale di Santa Corona. In tre sale al pianterreno è esposto il lascito Neri Pozza, con opere di Giovanni Carnovali, Filippo De Pisis, Ottone Rosai, Gino Severini, Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Felice Casorati, Emilio Vedova. La sezione d’Arte medievale, che si trova al secondo piano, conserva dipinti e opere plastiche dal XII al XIV secolo. Tra i molti capolavori degni di nota Dormitio Virginis di Paolo Veneziano, Fatti della vita di San Silvestro di Battista da Vicenza, Ritratto di Pico della Mirandola di scuola Belliniana, Calvario di Hans Memling, Adorazione dei Magi di Bernardino Luini e una serie di medaglie di Pisanello, Matteo De’ Pasti e Francesco Laurana, Vergine in trono con Bambino e santi di Bartolomeo Montagna, Deposizione di Giovanni Buonconsiglio, Epifania e San Francesco che riceve le stimmate di Marcello Fogolino.
La Pinacoteca, allestita in 24 sale al secondo piano dell’ala palladiana e di quella ottocentesca, espone cronologicamente e per area di produzione opere del XVI e, in parte minore, del XVII-XVIII secolo, soprattutto di ambito veneto. Nella sala IX, ornata da un fregio a fresco con figure allegoriche, sono esposte tele di Bartolomeo Montagna (Vergine in trono col Bambino e i Ss. Giovanni, Bartolomeo, Fabiano e Sebastiano), Benedetto Montagna e Cima da Conegliano (Madonna della Pergola). La sala X, con fregio monocromo che riproduce scene della colonna traiana, forse di Domenico Brusasorci, è dedicata ad artisti dell’Italia centrale (Sacra famiglia, Sant’Anna e San Giovannino di Prospero Fontana) e fiamminghi (Fuga in Egitto di Lambert Sustris) attivi a Vicenza. Il ‘500 veneto è il tema del Salone, illustrato dal Veronese (Madonna col Bambino, San Pietro e Santa Caterina), dal Tintoretto (Sant’Agostino risana gli sciancati), dal Sansovino (Madonna col Bambino in terracotta), G.B. Maganza il Vecchio (Ritratto di Ippolito da Porto), Jacopo Bassano (Silvano Cappello e Giovanni Moro davanti alla Vergine), Lorenzo Lotto (Madonna col Bambino). Segue la generazione successiva con Francesco, Leandro e Girolamo Bassano, Francesco Vecelio. Della sala XIII protagonisti sono i fiamminghi con Le tre età dell’uomo di Antonie Van Dyck e Madonna col Bambino in un paesaggio di Jan Brueghel dei Velluti. Nella sala XIV, il seicentesco Pietro Muttoni (Cristo deposto). Si prosegue nell’ala ottocentesca con Francesco Maffei (Allegoria per Alvise Foscarini inquisitore del Monte di Pietà di Vicenza); nella sala XVI, Giulio Carpioni. Nella sala XVII, maestri del ‘600 veneto: Bartolomeo Cittadella, Marco e Pietro Liberi, Francesco del Cairo (Erodiade); nella sala XVIII, Antonio Bellucci e Luca Giordano, che è anche nella sala XIX, dove sono un Nudo di Lodovico Dorigny e quattro statue lignee settecentesche, forse raffiguranti le Virtù. Nella sala XX, Estasi di San Francesco di G.B. Piazzetta. Nella XXI, dedicata ai paesaggi, G.B. Pittoni, Marco e Sebastiano Ricci (Rovine di architettura e figure), Luca Carlevaris. G.B. Tiepolo (Immacolata, Il tempo che scopre la Verità) e il figlio Giandomenico dominano la sal XXII, affiancati da Giambettino Cignaroli; inoltre, bozzetti di Orazio Marinali. Infine, le sale XXIII e XXIV, con paesaggi e nature morte, ospitano, tra gli altri lavori di Giuseppe Zais, Margherita Caffi (due rare tele con Fiori), due nature morte di Giacomo da Castello.
Teatro Olimpico Nel perimetro di Castel San Pietro, eretto dai da Carrara intorno al 1226, sorse il palazzo del Territorio, che subì diverse trasformazioni fino a inglobare il Teatro Olimpico, ultima, straordinaria opera del Palladio, iniziato nel 1580 e ultimato dal figlio Silla nel 1583. La porta dell’Armamentario (1600) conduce nel cortile dove, sulle strutture delle prigioni del palazzo, sorge il teatro, ripensamento rinascimentali del teatro romano e primo impianto stabile nella nostra tradizione. Quasi metà dello spazio è occupata dalla cavea a pianta semi-ellittica, con 13 gradini, sovrastata da un colonnato corinzio, a sua volta sormontato da una balaustra con statue (aggiunte nel 1751). Dei 29 intercolumni, 12 sono chiusi e ornati da statue. L’orchestra, infossata, è dominata dalla fronte scenica, elemento chiave di tutta la costruzione, a due ordini corinzi completati da un attico; vi si aprono il maestoso arco della “porta regia” e due “porte ospitali”. Tutto il complesso è immerso in una decorazione nella quale l’occhio si perde, movimentata in orizzontale e in verticale da nicchie con statue, fregi, colonne, timpani e pilastri. Nel 1584 Vincenzo Scamozzi realizzò scene fisse in legno e stucco per l’Edipo tiranno di Sofocle, rimaste immutate dopo la prima rappresentazione del 1585. Dello stesso autore è l’Odeo (1608), la maggiore delle tre sale per le adunanze dell’Accademia degli Olimpici, tra le più attive associazioni della Vicenza tardorinascimentale.
Palazzo Leoni Montanari All’inizio di contrà Santa Corona, il palazzo, ora sede di una banca, costituisce una delle poche testimonianze del barocco civile. Nel cortile è la loggia d’Ercole, a tre archi; nell’interno, decorato a stucchi, suggestiva è la galleria della Verità, affrescata da Giuseppe Alberti e Lodovico Dorigny.
Santa Corona
Santa Corona Cardine urbanistico e polo di riconquista dei fedeli nel periodo dell’eresia catara, la chiesa del vasto complesso domenicano fu costruita rapidamente (1260-70) per custodire la reliquia della Santa Spina. Nel 1480-82 venne rifatta la zona presbiteriale, mentre la facciata a vento fu riedificata nel 1872. Tra le opere custodite nella navata destra, sul pilastro tra le prime due cappelle, il Beato Carreiro di Francesco Maffei; la terza cappella ospita un’Adorazione dei Magi del Veronese; la quarta opera di G.B. Albanese, accoglie tele di G.B. Maganza il Giovane e allievi. Conclude la navata la cappella Thiene, del 1390 ma trasformata nel 1725 da Francesco Muttoni secondo il gusto rococò del tempo: vi sono custoditi due sepolcri Thiene (XIV-XV secolo) e, all’altare, Ss. Pietro e Paolo e Pio V adorano Maria di G.B. Pittoni. Domina il presbiterio di Lorenzo da Bologna, con abside decorata in cotto e cripta sottostante l’altare maggiore, prezioso lavoro di marmi intarsiati del 1669; nell’abside, coro ligneo di Pier Antonio dell’Abate (1482). Sulla destra si apre la cappella Valmarana del Palladio (1576), mentre a sinistra del presbiterio è la cappella della Santa Spina, dove il Venerdì santo è esposto il prezioso reliquiario gotico (secolo XIV). Ornano la navata sinistra cinque altari: il primo è l’altare di San Giovanni Battista (1501), opera di Rocco da Vicenza che inquadra il Battesimo di Gesù, capolavoro di Giovanni Bellini. All’altare seguente, Madonna delle Stelle, attribuita a Giovanni da Bologna con aggiunte di Marcello Fogolino; agli altri altari, Sant’Antonio distribuisce le elemosine di Leandro Bassano e Maddalena tra i Ss. Girolamo, Paola, Monica e Agostino, opera tardiva di Bartolomeo Montagna.
I Musei di Santa Corona Il vasto monastero domenicano, dove la biblioteca progettata da Rocco da Vicenza separa il chiostro minore (XVII secolo) dal chiostro grande (XVI secolo), è stato restaurato per ospitare le sezioni naturalistica e archeologica del Museo civico. Al primo piano del lato ovest del chiostro minore, in una grande aula decorata da un fregio del XVI secolo, è sistemata la sezione naturalistica, che fornisce un quadro dell’ambiente berico illustrandone le stratificazioni geologiche, flora e fauna, formazioni boschive, doline, cavità carsiche; interessante la documentazione sul lago di Fimon, unica testimonianza dei bacini lacustri del Quaternario in seguito allo sbarramento alluvionale dei colli Berici. Al primo piano sono anche le prime sale della sezione archeologica, che espone in ordine cronologico i reperti da scavi in città e nel territorio vicentino. Il Neolitico è documentato da una serie di vasi a bocca quadrata. Nel chiostro, al piano terra del lato orientale, è la sala dell’età del Ferro: stele con iscrizione in venetico e laminette (personaggi con copricapo, guerrieri, figure femminili) del V-III secolo a.C. Nelle due sale ai lati dell’ingresso è la sezione romana; la prima è dedicata al teatro Berga, con parti della decorazione architettonica e sculture (“bukephalion”, frammenti di altorilievi, statue del ciclo onorario della famiglia giulio-claudia) datate ai decenni centrali del I secolo d.C. Nella seconda sala, reperti tardoantichi (il mosaico di piazza delle Biade con scene mitiche di caccia eroica e di lotta, della fine del IV secolo) e altomedievali (pluteo da Ss. Felice e Fortunato); cospicuo il materiale longobardo: armi, ornamenti, vasellame dalla tomba del guerriero di Sovizzo (VII secolo) e croce in oro da Dueville.
Santo Stefano In questa chieda del 1695, con facciata a due ordini (1738-40), sono custodite opere di riferimento per il barocco veneto. Spiccano due tele di Francesco Maffei, il ricco tabernacolo dell’altare maggiore affiancato da statue di Antonio Bonazza e, all’altare del transetto sinistro, Madonna col Bambino in trono, i Ss. Giorgio, Lucia e un angelo musicante, notevole dipinto di Palma il Vecchio.
Palazzo Thiene Gli elementi della facciata e la planimetria richiamano il mantovano palazzo Te, celebre opera di Giulio Romano. Progettato dal Palladio, l’incompiuto palazzo vicentino (1545-74), sede dal 1872 della Banca Popolare, è un esempio di come il grande architetto sapesse imporre un disegno non congruente con il tessuto urbano. Affacciata su contrà Porti, resta la fronte orientale dell’edificio precedente (1490), di Lorenzo da Bologna, dove elementi già rinascimentali convivono con la trifora e l’elegante portale in terracotta di Tommaso da Lugano. All’interno stucchi di Alessandro Vittoria e Bartolomeo Ridolfi e affreschi di Bernardino India; al piano nobile, la Rotonda, decorata a grottesche e statue di Orazio Marinali. Segna l’imbocco di contrà Zanella il palazzo Sesso-Zen, raro esempio di gotico vicentino.
Corso Fogazzaro e il Duomo
Contra’ Porti La via fu uno degli assi da cui partì il rinnovamento degli assi da cui partì il rinnovamento edilizio del XV secolo e sul quale si innestarono anche gli interventi palladiani. Sensibile all’inserimento della facciata nello spazio angusto della via, Palladio scelse per palazzo Iseppo Da Porto (1552 circa) il bugnato gentile a pianterreno, ottenendo al piano nobile l’effetto chiaroscurale con l’arretramento delle semicolonne. All’interno sono ambienti affrescati da G.B. Tiepolo. Sulla sobria facciata del palazzo Porto-Colleoni risaltano le finestre del piano nobile, mentre il vicino palazzo Porto-Breganze, esempio del tardogotico vicentino, è ornato da una complessa quadrifora ad archetti trilobi e dal raffinato portale di forme lombardesche (1481). Opera del Palladio è il maestoso palazzo Barbaran-Da Porto, del 1569-71, sede del Centro internazionale di Studi palladiani, che fronteggia l’ala quattrocentesca di palazzo Thiene. La decorazione dell’interno, a stucchi e affreschi, culmina nel salone centrale, il cui soffitto è ornato di tele di Andrea Vicentino.
Contrà Riale Vi si trova la Biblioteca civica Bertoliana, ospitata nell’ex convento di San Giacomo (1652) e nell’adiacente palazzo Costantini (XIX secolo). Costituita nel 1702, possiede manoscritti e codici antichi, tra cui una “Divina Commedia” del 1359 e il celebre “Polifilo” di Aldo Manuzio, del 1499.
Corso Fogazzaro E’ oggi una delle vie più animate della città. Il palazzo Valmarana-Braga (1566) si nota per la facciata “imprigionata” da lesene, slanciatissime anche se a modulo gigante; belli i due telamoni sopra le lesene minori e i riquadri sulle finestre al pianterreno, attribuiti a Domenico Fontana. Notevoli il portico sul cortile, incompiuto, e un ambiente al pianterreno, con stucchi e affreschi coevi. All’angolo con piazza San Lorenzo sorge il palazzo Repeta (sede della Banca d’Italia) ideato da Francesco Muttoni (1711).
San Lorenzo Eretta in forme cistercensi a partire dal 1280, la chiesa francescana apre nella facciata a capanna un portale a strombo, con rilievo nella lunetta (Madonna in trono con i Ss. Francesco e Lorenzo) e colonne ornate da scultore di Andriolo de’ Santi e aiuti (1342-44) raffiguranti personaggi biblici. Nell’interno, alla semplicità di uno spazio a tre navate corrisponde una decorazione molto articolata, costituita tra il XV e i primi anni del XVII secolo. In controfacciata si notano, a sinistra, un bassorilievo della fine del ‘400 e, sopra il portale, il fastoso monumento al generale G.B. Da Porto (1661). Nelle navata destra, dipinti di maestri veneti del XVII secolo; alla quarta campata Adorazione dei Magi di Giovanni De Mio (1563); alla testata del transetto destro, l’altare Pojana (1474), opera composita di rilievi e affreschi, con una Crocifissione del XVI secolo nella lunetta. Nel presbiterio, la cappella a sinistra di quella maggiore custodisce la Decollazione di San Paolo, affresco riportato su tela e attribuito a Bartolomeo Montagna o a Giovanni Buonconsiglio. Alla quinta campata della navata sinistra, Madonna col Bambino e i Ss. Antonio e Gaetano Thiene di Giulio Carpioni; alla seconda, l’elegante monumento di Brunoro Volpe (1575). Dal transetto sinistro si passa nel chiostro (1492), che accoglie sculture e lapidi di varie epoche.
Duomo Il primo insediamento in questo sito di una basilica risale al V secolo, ma la chiesa attuale fu eretta nel 1267-90 e trasformata nel 1444-80, con l’introduzione di elementi tardogotici. Ne è un esempio la facciata, del 1467, a cinque fasce sovrapposte. Dal corpo emergono l’armonica tribuna (1482), di Lorenzo da Bologna, e la cupola del Palladio (1574); il campanile romanico, a destra dell’abside, è dell’XI secolo. Nell’interno, a navata unica, dipinti e sculture formano un corredo che copre un lungo arco temporale, dal XIV al XVIII secolo. Tutti veneti gli artisti maggiori: Francesco Maffei, G.B. Maganza il Vecchio, Lorenzo Veneziano (Dormitio Virginis, Crocifissione, apostoli, evangelisti e santi, polittico del 1366), Alessandro Maganza, Bartolomeo Montagna. La bottega di Giovanni da Porlezza e Girolamo Pittoni produsse l’altare maggiore (1534), oltre alla Madonna col Bambino custodita nella settima cappella a sinistra. Nella cripta, con parti della chiesa altomedievale, sono visibili i resti di una strada e di abitazioni romane.
Palazzo vescovile Rigoroso edificio neoclassico, sorto nel 1818 sul sito di un palazzo medievale; nel cortile conserva la loggia Zeno (1485) realizzata da Bernardino da Como e Tommaso da Lugano. A fianco del palazzetto Roma (1599), sul lato sud, si scende nel criptoportico romano, ambiente voltano a botte, con pianta a tre bracci disposti a U, appartenuto a una casa del I secolo a.C.
Villa Valmarana e la Rotonda
Villa Valmarana Detta ai Nani per le statue sulla recinzione, la villa venne edificata nel 1665-70, ma assunse le attuali forme grazie all’intervento di Francesco Muttoni nel 1736. Nel 1757, G.B. Tiepolo e il figlio Giandomenico furono chiamati a decorare la palazzina e la foresteria con affreschi che restano uno egli episodi più alti della pittura veneta del ‘700. La palazzina, con quattro stanze affrescate da Giambattista, ospita cicli di scene dedicate all’ “Iliade”, all’ “Orlando Furioso”, all’ “Eneide” e alla “Gerusalemme liberata”; nell’atrio due scene dall’ “Ifigenia in Aulide” e due di carattere mitologico. Giandomenico lavorò invece alle sette stanze della foresteria, dove ogni ambiente ha un tema a sé. Procedendo da nord si incontrano: la Stanza cinese, la stanza delle Scene campestri, la stanza gotica, la stanza dell’Olimpo (di Giambattista), la stanza delle Scene carnevalesche, la sala della Loggia (di Gerolamo Mengozzi Colonna e Antonio Visentini) e la sala dei Putti.
La Rotonda Considerata il maggior capolavoro del Palladio, la villa Almerico-Capra, iniziata nel 1567, alla morte dell’architetto era ancora incompleta nella parte superiore. Fu Vincenzo Scamozzi, nel 1606, a realizzare la cupola che, sormontata dalla lanterna, copre il salone circolare al piano nobile. Proprio questa “rotonda” è il centro nevralgico della composizione, alla quale il Palladio imprime forza centrifuga allungando la sala centrale verso l’esterno, nei quattro pronai ionici e nelle scalinate. La villa è così una architettura aperta, che guarda la città e la campagna. L’interno è decorato da stucchi di Bartolomeo Ridolfi (per i camini), Lorenzo Rubini, Ruggero Bascapè e Domenico Fontana; il salone centrale è affrescato Lodovico Dorigny e, nella cupola, da Alessandro Maganza. Un intervento di Francesco Muttoni (1725-40) modificò attico e mezzanini.